Che c’è dietro lo spauracchio della patrimoniale

Alessandro Mainardi

Un report dell’Ocse rilancia il dibattito, che periodicamente si ripropone dai tempi di Einaudi, se sia meglio tassare i redditi o gli asset posseduti dai contribuenti. Le due soluzioni non sono neutre sul piano fiscale e producono effetti diversi sulla società e sul benessere dei cittadini

Se state leggendo questo articolo è molto probabile che anche voi abbiate visto i giornali del 13 aprile e siate rimasti colpiti dai titoli che davano per imminente l’arrivo della patrimoniale in Italia. Cosa era successo?

Il giorno prima l’Ocse – un ente intergovernativo con sede a Parigi – aveva pubblicato uno studio intitolato The Role and Design of Net Wealth Taxes in the Oecd [Funzione e configurazione delle imposte sul patrimonio netto nell’Ocse].

Lo studio, scaricabile dal sito www.oecd.org, suggeriva ai paesi membri dell’Ocse di rivalutare l’imposizione sul patrimonio al fine di ridurre il cosiddetto wealth inequality, in altre parole la concentrazione della ricchezza nelle mani di un numero ristretto di persone.
La reazione dei giornali è stata immediata e invariabilmente del tipo “L’Ocse vuole la patrimoniale in Italia”.

Mi sono armato di pazienza e ho letto da cima a fondo le 109 pagine dello studio dell’Ocse.
L’Ocse segnala che l’Italia ha già messo in campo un ampio ventaglio di imposte sul possesso (Imu, imposta di bollo sui conti correnti e titoli, Iafe e Ivie) e sui trasferimenti di patrimonio (imposta di registro e imposta di successione) e prevede una tassazione diffusa dei capital gain (Irpef e sostituiva).

Nonostante questo l’Ocse segnala che il wealth inequality ha continuato ad ampliarsi dopo la crisi, a riprova del fatto – come avverte sempre l’Ocse – che l’imposizione patrimoniale è poco efficace a ridurre le disparità di ricchezza. Fin qui nulla di male e soprattutto nulla che possa essere interpretato come un invito dell’Ocse all’Italia ad adottare la patrimoniale.

Si intravede semmai in altri passaggi del report un certo favore dell’Ocse per una imposizione progressiva della tassazione dei capital gain e della successione. Qui il riferimento all’Italia c’è perché entrambe le forme di imposizione sono da noi più piatte che progressive.

Tutti però ricordiamo che in passato entrambe le forme di imposizione erano in Italia fortemente progressive, ma da quel passato fatto di dichiarazioni lunari e aliquote svedesi siamo scappati e nessuno mi pare che lo rimpianga.
Aggiungiamo infine che il programma ufficiale del nuovo governo scritto nel Contratto per il governo del cambiamento mette nero su bianco la “contrarietà a misure di tassazione di tipo patrimoniale”.

Pericolo patrimoniale scongiurato allora?

Per il momento pare di sì, almeno se non ricapita una crisi del nostro debito nazionale come quella del 2011. Cosa che al momento nessuno, nemmeno i tedeschi, mette in conto.
A qualcuno però sarà rimasta la (insana) curiosità di sapere cosa è una imposta patrimoniale e come funziona.

Semplificando possiamo dire che:

■ il reddito è il valore di tutti i beni (denaro, in primis) che produciamo in un certo periodo di tempo con il nostro lavoro e i nostri investimenti: gli stipendi ad esempio sono reddito;
■ il patrimonio è il valore di tutti i beni (casa, macchina, titoli) posseduti in un certo momento e che abbiamo acquistato con i redditi che non abbiamo dovuto consumare per vivere o che abbiamo ottenuto grazie ad altri (ad esempio, i regali o le eredità): i nostri risparmi sono patrimonio, quindi.

Supponendo che tutti i redditi e tutti gli apporti di terzi siano adeguatamente tassati, non dovrebbe esserci alcun motivo per tassare il patrimonio.
Il patrimonio infatti non è altro che il reddito o l’apporto sopravvissuto ai consumi e alle tasse già pagate.

Quindi perché tassarlo ancora?

Se la pensate anche voi così siete in buona compagnia. C’è un libretto scritto da Einaudi nel 1946 intitolato L’imposta patrimoniale e recentemente ristampato dove Einaudi afferma: “In verità capitale e reddito non sono due entità distinte, sebbene la stessa entità vista sotto differenti sembianze”.
Einaudi nota che l’imposta patrimoniale si chiama così perché è commisurata al patrimonio, ma in realtà colpisce sempre il reddito.

Nel senso che il contribuente attinge dal reddito per pagarla e non dal patrimonio che è immobilizzato e come tale non è disponibile per fare pagamenti.
L’Ocse stessa nel suo report non si allontana molto da Einaudi quando osserva che una imposta sul patrimonio netto equivale ad una imposta proporzionale applicata ad un reddito presuntivo: l’imposta patrimoniale infatti è riscossa indipendentemente dall’esistenza di un effettivo reddito prodotto dal patrimonio risparmiato.

Ma se è vero che reddito e patrimonio sono due facce della stessa medaglia, non è vero però che tassare il reddito e tassare il patrimonio è la stessa cosa.

Esempio: in Italia i cosiddetti capital gain sono o saranno a breve tassati tutti con la stessa aliquota del 26% fissa. Se si decidesse di reintrodurre una qualche forma di progressività, si potrebbe tornare ad avere due aliquote, una più alta e una più bassa, come era già in passato.
Oppure si potrebbe decidere di lasciare l’aliquota del 26% invariata per motivi di semplificazione (e di marketing) fiscale, ma di tassare l’eccedenza di patrimonio che si è formata a causa della mancanza della aliquota più alta.

Sul piano strettamente matematico l’effetto è lo stesso. Ma sotto quello economico no.
Se tassiamo il patrimonio eccedente, lasciamo al contribuente la possibilità di scegliere se tenersi in tasca l’eccesso e pagarci le tasse sopra oppure spenderlo in viaggi o corsi di istruzione o beni di consumo o comunque in altre spese che non generano patrimonio tassabile, ma generano spesso reddito e quindi benessere per altre persone e tasse (sui redditi) per lo stato.
Se invece tassiamo il reddito eccedente, impediamo o quanto meno scoraggiamo la scelta, perché il prelievo avviene comunque, sia che il contribuente si tenga l’eccedenza sul conto, sia che la spenda.

Ma c’è un punto a favore della tassazione del reddito che non attiene al benessere dei cittadini, ma a quello dello stato ed è il punto decisivo. Tassare i redditi è molto più facile che tassare i capitali. I redditi tendono a riguardare almeno due soggetti e sono ben visibili. I capitali tendono a riguardare un solo soggetto e sono meno visibili dei redditi (eccetto le case che infatti sono tassate benissimo).

Difficoltà di tassazione vuole dire lentezza di riscossione, evasione fiscale, costi di accertamento. E l’evasione è la prima e più regressiva (cioè ingiusta) forma di tassazione che esista. Non a caso l’Ocse stesso osserva che le maggiori economie del mondo hanno da tempo abbandonato la tassazione del patrimonio a favore di quella del reddito.